Giussago di Portogruaro
IL RITORNO DELLE SPOGLIE
DEL SOLDATO AMEDEO MORASSUTTO
Il 6 novembre 2024 si terrà
una Cerimonia commemorativa...
Sara ed Amedeo Morassutto, nipoti del soldato Amedeo Morassutto, morto durante la prigionia in un campo di concentramento nella Germania di Hitler durante la Seconda guerra mondiale, informano del rientro delle sue spoglie in Patria.
Dopo 79 anni, il 6 novembre 2024, nel centenario della sua nascita, le spoglie mortali del giovane artigliere Amedeo Morassutto, faranno finalmente ritorno a Giussago di Portogruaro, suo paese natale, dove nella Chiesa Parrocchiale si terrà una Cerimonia commemorativa funebre (alle ore 11,30), a cui seguirà un corteo che lo accompagnerà nel vicino cimitero (clicca qui) dove riposerà per sempre accanto ai suoi cari.
“Vi scriviamo questa storia, sottolineano i nipoti Sara e Amedo, perchè, a nostro avviso, l'intera comunità dev'essere messa a conoscenza del suo rimpatrio e del suo sacrificio; sentiamo che sia atto doveroso per lui e per tutti gli altri soldati che hanno sacrificato la loro vita per regalarci la libertà, la democrazia e la Repubblica. Sentiamo forte anche il senso di dovere di divulgare l'informazione alla nostra comunità e soprattutto alle nuove generazioni di cui i nostri nipoti sono parte attiva. Solo così il sacrificio di questi eroi non sarà stato vano.”
G.B.
LA SUA STORIA:
"Amedeo Morassutto nasce il 6 novembre 1924 a Portogruaro (VE) e proprio il 6 novembre 2024, data in cui si concretizza il rimpatrio delle sue spoglie, avrebbe compiuto 100 anni. Soldato del 25° Reggimento di Artiglieria, viene fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e internato in Germania come IMI – internato militare Italiano (nel certificato di morte risulta prigioniero di guerra) nello Stalag II A di Neubrandenburg, dove gli viene assegnato il numero di matricola 104070.
Muore a Hemer il 1° marzo 1945 e viene inumato in prima sepoltura nel cimitero italiano di Hemer/Iserlohn alla tomba n.88. Nella seconda metà degli anni ’50 su disposizione del Commissario Generale per le onoranze ai caduti in Guerra, viene fatto esumare e viene traslato nel Cimitero militare Italiano d’onore di Francoforte sul Meno alla posizione tombale: riquadro P, fila 2, tomba 25.
La tragica vicenda degli IMI - Internati Militari Italiani - ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. Militari italiani, catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa, caricati su carri bestiame, sono avviati a una destinazione che non conoscono: i lager del Terzo Reich, che erano sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia.
Dopo un viaggio in condizioni disumane, appena arrivato nel lager, il prigioniero veniva immatricolato con un numero di identificazione che sostituirà il nome e che sarà inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Tra le formalità d’ingresso c'erano anche la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali su appositi documenti di riconoscimento e la perquisizione personale e del bagaglio.
Sin dal primo momento, ai prigionieri, circa 650mila, veniva chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò. La maggior parte di loro si rifiuterà di collaborare e per la prima volta, con una scelta volontaria di coscienza, dice NO! a qualsiasi forma di collaborazione, affrontando sofferenze e privazioni. Il rifiuto di collaborare dopo l’armistizio fu scelta consapevole perché l’adesione violava il giuramento fatto al re e soprattutto alla nazione: in tal modo gli IMI non optanti compirono una svolta per l’identità italiana che era la completa rottura con il fascismo. Un completo ed irrevocabile rifiuto dell’alleanza nazifascista.
E’ quella che nella storia sarà chiamata la resistenza “passiva”. Si tratta di un’altra resistenza rispetto a quella più conosciuta ma densa, problematica, drammatica come quella combattuta sul suolo italiano. Quei soldati e quegli ufficiali dovettero affrontare una prigionia incerta, violenta e brutale, improntata alla vendetta di quello che i tedeschi giudicavano un tradimento, l’armistizio. Pertanto, il trattamento riservato a chi si rifiutava di collaborare o di aderire a Salò fu spietato nella maggioranza dei casi: per i tedeschi, in una gerarchia dei prigionieri, gli italiani si trovavano al di sopra solo degli ebrei.
In un primo tempo prigionieri di guerra, i militari italiani catturati, deportati e internati nei lager nazisti, il 20 settembre 1943 vengono definiti IMI - Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler, che li sottrae alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 (invece garantite ai prigionieri di guerra), per destinarli come forza lavoro per l’economia del Terzo Reich.
L’ultima persona della famiglia che aveva visto Amedeo in vita fu il fratello Giovanni, nostro padre, classe 1923 e di appena un anno d’età in più. Si videro in stazione dei treni a Trieste: uno si trovava nella carrozza di un treno che l’avrebbe portato a Napoli con non poche altre vicissitudini ed Amedeo nella carrozza di un treno diretto verso il nord. Nessuno dei due conosceva la propria destinazione né il proprio destino, si videro dal finestrino e non riusciamo neanche ad immaginare cosa possa essere passato nelle loro menti e nei loro cuori.
Dalla morte avvenuta il 1° marzo 1945, l’atto di morte viene trascritto dall’Ufficio di Stato Civile del Comune di Portogruaro solo nel maggio 1954, dopo 9 anni di corrispondenze tra la Croce Rossa Italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Difesa, il distretto militare di Venezia ed il Comune di Portogruaro.
E’ del 20 agosto del 1946 la deposizione avvenuta presso la stazione dei Carabinieri di Bassano del Grappa del Tenente Cappellano Padre Lega, unica persona ad aver visto Amedeo morire, che conferma: “il decesso del soldato Amedeo Morassutto è avvenuto per pleurite TBC il giorno 1.3.1945 alle ore 17.00. Egli è stato curato premurosamente dai medici italiani, dr. Leopoldo Faretra di Foggia e dal dr. Berti Giuseppe di Ravenna, munito dei conforti religiosi e assistito personalmente da me; in forma privata fu da me comunicata al Sindaco di Portogruaro in data 4 ottobre 1945 la morte del detto militare prigioniero”.
La medesima comunicazione arrivò, quindi, via lettera, per il tramite del parroco di Giussago Don Antonio Buttignol, alla famiglia facendola sprofondare nel dolore e nella disillusione di poterlo riabbracciare.
La sua mamma, Amabile Cenedese, a cui finalmente il 6 novembre 2024 egli si ricongiunge, da quel momento indossa il lutto fino alla sua morte.
Amabile, ogni anno successivo alla tragica notizia e fino alla sua morte, chiederà al nipote Amedeo (chiamato così per onorare il ricordo del figlio) in occasione delle festività di tutti i Santi di recarsi alla lapide dei caduti posta sul campanile della Chiesa di Giussago, con dei fiori."
I nipoti Sara ed Amedeo Morassutto
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